Ancora su Piazza Dante
Quello che manca nella vicenda di Piazza Dante è sicuramente una diversa visione politica.
Quello che il sindaco e gli assessori sembrano non avere capito è che non si tratta solo di Piazza Dante: piazza Dante – per i cittadini che si sono ribellati all’abbattimento degli alberi dichiarato “necessario” ai fini della riqualificazione della piazza e del bene vincolato sottostante – è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
E arriva dopo i numerosi casi di abbattimento avvenuti a Bergamo.
Parliamo dei molti – troppi – episodi, più o meno giustificabili, a partire da quelli per le discusse ‘riqualificazioni’ di piazzale Alpini e piazza Risorgimento, per il nuovo mercato in via Spino, per i lavori allo Stadio o per quelli agli ex Ospedali riuniti, o per la realizzazione del sottopasso con la pista ciclabile alla Trucca.
Parliamo delle magnolie che si volevano abbattere per la ‘riqualificazione’ di piazzetta Santa Lucia e che si sono salvate solo grazie alla rivolta dei residenti.
Degli alberi che si volevano abbattere in via Goisis – senza ordinanza e senza esami fitoiatrici – perché le foglie “sporcano” e qualcuno se ne è lamentato, e di quelli invece rasi al suolo in via Rosa perché la specie viene ora ritenuta infestante (ma non poteva semplicemente essere monitorata affinché non si espandesse, visto che siamo in città e non in un’area boschiva?).
Del parcheggio costruito ad Astino, forse senza abbattere alberi, ma con consumo di suolo al posto di due campi agricoli, incentivando l’afflusso automobilistico.
Dei cedri privati di via Vivaldi, per i quali il Comune aveva dato l’assenso all’abbattimento e che si sono salvati solo grazie alla mobilitazione dei residenti che hanno convinto la Ferretti a cambiare il progetto, spostando di poco il nuovo vialetto.
Della sessantina di alberi condannati a prossima morte a Campagnola (per un supermercato che non vuole avere le insegne coperte?).
Dei tanti alberi abbattuti perché dichiarati “malati” (da chi? con quali qualifiche?), e forse lo erano, dopo anni di incuria e cattive potature, o forse no.
A quante centinaia di alberi adulti ammonterà il deficit arboreo cittadino negli ultimi anni?
Centinaia di alberi di cui l’ex assessora Ciagà aveva garantito la sostituzione e compensazione con la piantumazione di 7000 nuovi alberi in periferia.
Alberi che si sono poi rivelati bastoncini, morti prima di arrivare ad emettere la prima foglia.
Parliamo anche del fatto che, da parte di Comune e progettisti, si è cercato di spostare il discorso di piazza Dante sul fatto che gli alberi fossero malati e pericolanti, quando invece una perizia agronomica dimostra che così non è.
Dando così ai cittadini la netta sensazione di essere presi in giro.
Sappiamo però che l’aspetto ecologico è solo la punta dell’iceberg, quello più visibile, nella GESTIONE DEI BENI COMUNI DELLA CITTÀ.
Per rimanere a piazza Dante – va considerata anche l’esigenza di tutelare un bene vincolato dal Ministero dei Beni Culturali.
Ma appunto – come è stato fatto notare anche da alcuni cittadini il cui commento è stato prontamente ‘nascosto’ sulla pagina Fb del primo cittadino -, non si sarebbe meglio tutelato l’ex rifugio antiaereo ed ex diurno mantenendolo in mano pubblica?
Perché il Comune avrebbe potuto averlo gratuitamente dal Demanio, a patto di recuperarlo e proporre un “programma di valorizzazione storico culturale”, ma vi ha rinunciato perché questo sarebbe costato “troppo”.
Ma davvero recuperarlo sarebbe costato troppo per il Comune?
Questione di scelte e di priorità!
I soldi si trovano, quando si decide che una cosa merita di essere fatta, ed infatti questa primavera il Comune ha trovato in tutta fretta il modo di stanziare 9 milioni per finanziare la costruzione della palestra universitaria alla Montelungo dopo che l’università aveva deciso di rinunciarvi.
Una cifra ben più alta rispetto ai 2 milioni circa che, come all’epoca dichiarato dall’assessore Valesini ai giornali, sarebbero serviti per recuperare l’ex diurno.
Forse che la CULTURA non può essere ‘rivitalizzante’?
In questo modo il Comune ha così permesso che il Demanio cedesse un bene pubblico (per un prezzo di molto inferiore al valore stimato) ad una società privata che ne farà un locale notturno “esclusivo” con ristorazione con una capienza fino a 750 persone.
A febbraio poi, il consiglio comunale ha deciso la cessione a beneficio della privata Società Diurno, per un importo di 103.200 euro, di ulteriori 700 mq ca. del sottosuolo pubblico della piazza, appartenenti ai BENI PATRIMONIALI INDISPONIBILI del Comune e resi con tale atto disponibili.
La giustificazione è stata che, ai fini del suo utilizzo come “locale di intrattenimento”, l’ex diurno necessitava “anche di spazi di proprietà comunale in modo da realizzare locali tecnici di stretta pertinenza dell’immobile principale”.

Si tratta di una cessione avvenuta nell’interesse pubblico?
O in quello privato?

Tale cessione avrà anche ricadute dirette in termini di allungamento dei tempi di indisponibilità ai cittadini della piazza, a causa dei lavori necessari per la realizzazione dei “locali tecnici” che permettano un “miglior utilizzo della struttura” come locale d’intrattenimento. Due anni durante i quali i cittadini non potranno godere di una piazza che costituisce “uno degli spazi centrali” e rappresentativi della città.

Ricordiamo infine un altro simbolo emblematico dell’attuale sistema di gestione del bene pubblico: il caso dell’ex Asilo Principe di Napoli, che, dopo la mobilitazione del quartiere e dei comitati (fra cui il nostro), è sì stato tolto dall’elenco dei beni alienabili, ma è restato – murato l’ingresso – senza un progetto di ristrutturazione o di utilizzo.
Alla mancanza di manutenzione seguirà ulteriore degrado, il degrado porrà di fronte a spese non sostenibili, o che non si vorranno sostenere; seguirà la cessione al privato che, di nuovo, ne farà ciò che vuole …
Perché il punto non è semplicemente quello di far restare di proprietà pubblica un bene.
Ma farlo diventare, davvero, bene “comune”, ovvero proprietà condivisa dei cittadini. Altrimenti non è un bene comune, ma solo una privatizzazione rimandata.
In tutti questi casi, non crediamo si tratti di buona amministrazione del bene pubblico.
Da cittadini, ci sembra che gli interessi e i diritti della collettività – e parliamo anche della salute messa in gioco da un’aria tra le più irrespirabili d’Italia – troppo spesso vengano dopo, molto dopo, le “valorizzazioni” che traducono il bene comune di tutti in ricchezza di pochi.
A fronte di tutto ciò si finge che ogni intervento sia un “a sé” e non il frammento di un disegno che sta trasformando la città in un ambiente “esclusivo”, come il locale che occuperà l’ex Diurno.
E che essendo esclusivo esclude: i cittadini.

#BergamoBeneComune